Percorsi di fede

Percorsi di fede

Un percorso trasversale che coinvolge fedeli e appassionati di storia: questi itinerari ci portano alla scoperta di una Spilimbergo di fede.

 

Segni di una religiosità raffinata e popolare

Il profumo sacrale d’antico che trasuda di profonda umanità, di vita vissuta, di speranza nel futuro, di consapevolezza di popolo unito in cammino verso quel Dio da cui ottenere protezione, benedizione, senso della vita, ben è testimoniato dalla pietra di soglia del nostro Duomo, quella su cui si erge il sontuoso portale che dà sulla piazza. Reliquia eloquente sotto gli occhi di tutti, sotto i piedi di tutti, consumata da infiniti passi che vi hanno lasciato impronta anonima antica ma sempre più viva, solco sempre più profondo e lucente fino a scavare quel sasso, testimone credibile di quella fede semplice, umile e viva che anticipa silente ed umile il superbo splendore della preziosità di affreschi, decorazioni, arredi e sculture realizzati da fior fior di artisti, pel decoro del massimo tempio cittadino, il Duomo di Santa Maria. Ecco, proprio da qui, dopo aver toccato con due dita, con semplicità e umiltà, quell’acqua santa contenuta nella cinquecentesca magnifica pila, acqua purificatrice, benedetta la notte di Pasqua, col segno millenario della croce, la proposta per iniziare un itinerario che ci porti a scoprire, caro amico visitatore, altri interessanti e curiosi segni di religiosità disseminati nel territorio. Ma prima di uscire, lasciati inebriare dalla luce policroma che filtra dai sette rosoni della facciata, richiamo e riferimento ai misteriosi, apocalittici sette occhi dell’Agnello che ci redime. C’è anche l’affresco “dell’impiccato” nascosto nell’abside di sinistra, testimone dei racconti legati ai secolari giubilari pellegrinaggio medievali che tracciavano gli antichissimi itinerari verso Santiago di Compostela, Gerusalemme e Roma. Pennellata trecentesca, ispiratrice di quell’altro affresco “del pellegrino” che campeggia nella facciata interna. Lo sguardo pian piano si affina, cercando di cogliere e scoprire queste tracce di religiosità a volte evidenti, a volte nascoste tra muri e muraglie, e che son lì a ricordare la vitalità religiosa della gente del borgo e la fedeltà a un Dio, alla sua Madre e alla schiera dei suoi angeli e santi che tanta parte di storia han lasciato nel cuore degli spilimberghesi, quali memorie di una appartenenza ad una comunità fiera del proprio credo e della propria identità, che ha saputo inconsciamente o con preciso disegno addirittura modellare l’urbanistica del centro storico e benedire tutte quelle attività artigianali e commerciali che da oltre sette secoli caratterizzano la nostra splendida città.

Lasciato il meraviglioso, imponente Duomo, perla preziosa e più insigne della città, il più bello di tutta la Diocesi, e il Castello possente che si ammira dalla piazza di Santa Maria, lo sguardo fugace, pur sedotto dai palazzi, dalle logge circostanti e dall’armonia della piazza, non può non posarsi sull’umile Chiesetta di Santa Cecilia che si dice preesistente al Duomo, laddove appunto una porticina che dà sul fossato, annuncia colle due cariatidi nell’intradosso, essere quasi millenaria. Qui si riunivano i capifamiglia ‘ad sonum campanae’ per ‘trattare’ gli affari più importanti del borgo che il feudatario imponeva al borgo e al contado.

Ma lasciamo ora la piazza e raggiungiamo la torre portaia, varco di quella prima muraglia che circoscrive il più vecchio ed antico borgo. Ora c’è una enoteca e dietro gli avventori che qui indugiano chiacchieranti davanti ad un boccale di buon vino si nota un l’affresco esterno riproducente una bella Crocifissione che lo spilimberghese Gasparo Narvesa, oltre a tante altre opere pittoriche di buon valore, eseguite però su tela, ha voluto qui imprimere sul muro con la valentia della sua ben riconoscibile pennellata. Costeggiamo ora la storica muraglia, scendendo in Tagliamento proprio seguendo il tracciato del vecchio fossato ai piedi della cinta.

Un campaniletto con la sua chiesetta a mezza riva, verso il sol levante, ti rassicura che un tempo quando il foresto entrava nel borgo, qui poteva prima sostare per ritemprarsi dalla fatica del cammino e del guado sussurrando una prece di gratitudine e di benedizione. È il Santuario dell’Ancona, sorto sul più antico sacello di quella Santa misteriosa che fu Santa Sabida, protettrice pare dei guadi sul grande fiume. La sua loggetta ti invita ad una breve sosta, a prender fiato e magari a invocare, innanzi all’affresco miracoloso della Madonna , quell’Ave Maria imparata fin da bambini che spontanea affiora alle labbra; poi, appoggiato al muretto della cuba, lascia che lo sguardo si posi sul verde praticello, composto a onor dei Caduti della grande guerra, e poi alza gli occhi pian piano, quasi con la dissolvenza, e sali fin sulle mura possenti ed impellenti dell’antico Castello. Sul muretto dove ti sei appoggiato, tra le bianche colonnine che sono reliquia di un più antico fano dedicato a San Girolamo, vi è incisa una tria, dove, con pochi sassi, i ragazzi di un tempo giocavano dopo le nuotate estive nelle gelide acque del Tagliamento che scorreva proprio qui sotto. Dopo questa breve sosta, val la pena risalire verso il Borgo cittadino, lungo la rampa di Via Ripida appena sulla destra, da poco interdetta ai veicoli, quella che ti porta fin nell’altro Castello, un tempo dimora ragguardevole dei Conti di Sopra e ora Municipio della città. Puoi entrare dal cancelletto più a nord. Lo sfavillio degli affreschi della decorazione rinascimentale e la sicurezza che promana dai possenti muri che si innalzano dalla corte acciottolata non ti distolga la vista di quei quattro sassi, poco più di un cenno di muricciolo, ben allineati sul verde praticello, proprio lì appena entrato, alla tua destra, su quel fazzoletto di verde, così giustamente salvaguardato, sono i resti di una antica aula rettangolare. È ciò che resta della Chiesetta di San Rocco, detta spregevolmente dal popolo “San Rocchetto” perché chiesa privata, gentilizia, dei Signori Consorti che dominavano il borgo e la sua povera gente.

È solamente la storia tramandata dalla gente, la tradizione stessa e questi quattro sassi rimasti che ci affidano questa memoria. Ma continuiamo il nostro percorso verso Occidente fin a incrociare il Barbacane. Domus parva pax magna cenna una scritta sullo stipite di una porticina di una minuscola casa. E se guardi bene, vi scorgerai anche l’immagine moderna di una Madonna venerata dal committente anonimo, e proposta benedicente al frettoloso viandante. Eccoti ora nel Viale, una perla per Spilimbergo, di cui apprezzi le fattezze specialmente durante la stagione estiva dove puoi non solo ripararti all’ombra del tunnel frondoso dei robusti tigli che lo sagomano ma addirittura lasciarti inebriare dal profumo dolcissimo ed intenso che emanano specialmente verso sera quando riempie con la sua fragranza le contrade e borgate fino in centro. Hanno soppiantato i più antichi gelsi che un prete aveva qui collocato perché il popolo potesse mantenere con le loro foglie i bachi da seta allevati nelle cucine e nei corridoi, quale unica fonte di reddito estivo per tante famiglie povere del borgo. A metà del viale, dove sorse la casa degli anziani, dentro una grotta fra i fiori sempre curati ecco ti si presenta in una grotta la statua di un’altra Madonna benedicente. Prima di proseguire, avvicinati un po’ dalla parte del cortiletto, vedrai subito un’altra Madonna ancora sul retro, con Santa Bernardetta in preghiera, Puoi anche, con la semplicità di un bambino, aprire il cancelletto e deporre un fiore e lasciarti coinvolgere dall’aleggiante invito al silenzio che ti viene offerto prima di un’altra Ave Maria. Lasciati andare dolcemente senza fretta lungo il Viale e prova ad immaginare in luogo di quella villa grigia dalle imposte misteriosamente sempre chiuse, un grande monastero, con i balconi invece sempre spalancati da dove un tempo giungeva l’armonia del canto gregoriano e il salmodiare delle Benedettine che qui dimoravano.

Arrivati ora nella Piazza, quella “In For” poni attenzione all’incrocio ed al via vai delle automobili e biciclette che sfrecciano per ogni dove e fermati in attimo davanti alla chiesa sulla destra. È quella di San Rocco, edificata fuori le mura cittadine, per un voto della popolazione contro il flagello della peste nel XVI secolo. Qui si venerano San Rocco e la Madonna della Salute – cari alla antica e bella tradizione veneziana della Serenissima – rispettivamente il 16 agosto e il 21 novembre, giornate in cui si fa memoria liturgica di San Rocco, patrono degli appestati e dei pellegrini, e della presentazione di Maria al Tempio. Se sei qui in questi due giorni avrai occasione di sentire sciogliersi le campane azionate a mano dai valenti scampanotadors in un ritmo musicale tutto particolare e caratteristico, una melodia tutta spilimberghese. Qui è tradizione celebrare la Messa solenne nelle due ricorrenze care alla città con una grande partecipazione di popolo. La prima poi, quella di agosto, preannuncia anche la grande rievocazione storica pomeridiana della Macia col corteo delle storiche venerande Confraternite.

Rientrato quindi nel cuore del borgo e oltrepassata la porta occidentale quella della “Tor in for” dopo esserti lasciato distrarre sotto i portici rinascimentali sfarzosi di vetrine, prendi fiato e ritagliati un attimo per un’altra sosta. Stavolta nella trecentesca chiesa dell’antico ospedale di San Giovanni dei Battuti. Sorge dove un tempo scorreva la roggia a cielo aperto affiancata da un caratteristico porticato che favoriva le processioni dell’antica Fradaia dei Battuti che, incappucciati, durante la settimana santa da questa chiesetta si recavano in Duomo per la chiusura della sante quaranta ore. Il grande affresco trecentesco, dietro l’altare, rappresenta una struggente, inquietante Crocifissione dai connotati nordici. Più avanti sorge anche la Chiesa dei Frati, origine vera del più antico ospitale e che ospita oggi un coro ligneo quattrocentesco che è l’opera architettonica in legno più importante e preziosa di tutto il Friuli. È il lavoro valente della mano, del cuore e della spiritualità di Marco Cozzi che aveva appena intarsiato il Coro della Chiesa di S.Maria Gloriosa dei Frari a Venezia.

Sei un po’ stanco? Sappi che hai percorso soltanto un chilometro, o poco più… Ma non è finita qui. Ti invito a proseguire comunque verso sud, lungo la via delle Scuole, via Udine, all’ombra dei bagolari fin ad arrivare a San Giovanni Eremita. È l’ultima passeggiata di una decina di minuti costeggiando il dirupo del Tagliamento ammirandone il suo letto, dove tra sponda e l’altra si rileva una distanza di ben tre chilometri, lo slargo più accentuato del letto del grande fiume. Prima della discesa verso il chilometrico ponte di Dignano, nella notte dei tempi venne edificata una piccola ed accogliente loggetta per i pellegrini e i viandanti, San Zuan Remit. Un secolare eremitaggio, ristoro per chi guadava il Tagliamento, un ospizio per gli ammalati, un cimitero per gli appestati. Il sito fu rimaneggiato più volte con la definitiva demolizione della chiesa e del pronao. Vi rimane però una reliquia significativa ed eloquente, l’absidiola, tutta affrescata. Puoi scorgere la teoria dei dodici apostoli e dei quattro evangelisti nel tetramorfo, la decollazione di Giovanni Battista e la straordinaria danza di Salomè. Questa policromia anche se connotata da un disegno e una pennellata popolare e da campiture di colori elementari ciò non di meno lascia trasparire nella sua semplice ed ingenua fattezza un messaggio di fede e cultura religiosa di prim’ordine.

Attraversa poi la borgata omonima fino a giungere in borgo Navarons. Sappi che stai passeggiando lungo l’antico itinerario processionale delle rogazioni che si snodavano dal duomo fin quaggiù a implorar buoni raccolti e scampare da peste, fame et bello. Dal medioevo sei passato al rinascimento e da questo al moderno, che dico, post moderno. Qui ammirerai una chiesa che è indicata in tanti testi d’arte quale chiesa tra le prime edificata dopo il Concilio vaticano II rispettando i canoni della riforma liturgica coll’altare mensa centrale e le panche rivolte a semicerchio quasi a chiudere con un abbraccio i fedeli che celebrano il Mistero. È la Chiesa della Madonna di Lourdes, edificata a onor della Vergine con le offerte spontanee della popolazione del luogo e le periodiche raccolte di carta, vetro e ferro. Tutti segni di fede cristiana che confermano la vitalità religiosa della nostra gente, e del borgo e della periferia che quest’anno ha appena ricordato il suo secentesimo anniversario di istituzione parrocchiale.

Itinerario proposto e scritto da Mario Concina

La Romea strata: cos’è?

È anzitutto un’opportunità offerta a quanti desiderano accostarsi alla spiritualità dell’uomo medievale e alla sua ansia di assoluto, espresse dal suo pellegrinare seguendo gli itinerari legati alle tre peregrinationes majores: Roma (alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo), Santiago (alla tomba dell’apostolo Giacomo) e Gerusalemme (alla Terra Santa del Cristo Risorto).
È un itinerario di fede e cultura che segue una rotta importante, quella percorsa dai pellegrini che partivano dall’Europa centro orientale (le attuali Austria, Repubblica Ceca e Slovacca, Polonia, Slovenia, Croazia e Ungheria) verso l’Italia.
La Romea strata intercetta e si interconnette con altri itinerari di fede e di arte, così da offrire una opportunità ulteriore di scoperta e di avvicinamento a territori distanti dagli usuali flussi turistici.

Perché è stata chiamata così? La scelta, oltre a fare riferimento a Roma, la meta più importante a cui i pellegrini puntavano nel loro cammino, vuole estendere idealmente a tutti i percorsi nel nord-est d’Italia la figliolanza con la strada Romea, la principale via percorsa dai pellegrini medievali che da Aquileia, Venezia e dalle Alpi Orientali puntavano alla Tomba di Pietro.

Gli obiettivi del progetto

Riscoprire fede, religiosità, cultura delle antiche rotte di pellegrinaggio che passavano dal Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna e Toscana. Far conoscere le antiche “Vie della Fede”: nutrimento per lo spirito e luoghi di incontro tra l’uomo e il creato. Favorire attraverso il cammino la cultura della gratuità, del dono e dell’ospitalità che genera contaminazione fruttuosa tra persone e culture diverse. Offrire ai milioni di pellegrini che ogni anno solcano la via per Santiago, Roma e Gerusalemme un più vasto e vivo sistema di strade di pellegrinaggio ancor oggi percorribili tra ambienti di vero interesse.

I tratti che compongono la Romea strata

La strada interessa cinque regioni italiane, per un totale di 1302 chilometri. In Friuli Venezia Giulia, due sono i tratti della Romea strata:

  • la Romea Allemagna: da Tarvisio a Concordia Sagittaria, seguendo il corso del Tagliamento.

La tappa 7 Pinzano al Tagliamento – San Martino al Tagliamento si interessa il territorio di Spilimbergo toccando i principali monumenti, quali: il Duomo di Santa Maria Maggiore, il Santuario dell’Ancona, l’Eremo di S. Giovanni, l’Oratorio Regina Pacis di Gradisca al cui interno è venerata la Salus Infirmorum et Mater Viatorum, collocata a protezione dell’antico passo di barca in Tagliamento.

Per quanti intendessero approfondire la conoscenza del territorio di Spilimbergo, seguendo il “Logo del Pellegrino”, potranno scoprire il Parco del Tagliamento e dei Magredi, rinomati per i vini, la frutta e gli asparagi, nonché gli ambiti e le testimonianze storiche, artistiche ed archeologiche che costellano il territorio.

  • la Romea Aquileiense: da Miren (Slovenia) a Concordia Sagittaria, sede della Cattedra di Santo Stefano protomartire.

Per informazioni:
Comune di Spilimbergo, Ufficio Turistico IAT, +39 0427 2274
Parrocchia Santa Maria Maggiore, Spilimbergo, +39 0427 2059
Ufficio Pellegrinaggi Diocesi di Vicenza, +39 0444 327146

www.romeastrata.it

Salva

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi