La natura attorno a Spilimbergo

Non si può slegare la storia di Spilimbergo dal fiume che la costeggia: il Tagliamento. Delle originarie conformazioni vegetazionali che ricoprivano il territorio spilimberghese in antichità, attualmente, rimangono solo scarse tracce.

La vasta penisola tra il torrente Cosa e il fiume Tagliamento, sulla quale ora trovano posto insediamenti umani, ancora in data storica era ricoperta da una folta foresta planiziale a farnia che scendeva anche lungo i burroncelli pluvio-alluvionali (muculis), che scaricano acque nel fiume, fino a legarsi alla flora d’alveo.

Qualche debole traccia dell’impianto originario, seppur antropizzata, è ancora individuabile nel sito denominato Bosco di Valeriano alcuni chilometri a nord della città, ed in alcuni lacerti ripariali del Tagliamento a Sud del Duomo di Spilimbergo. Per il resto gli insediamenti abitativi hanno causato la sparizione del bosco naturale e, da alcuni anni, banali coltivazioni intensive stanno snaturando anche parte dell’alveo dell’Aga Granda.

La Grava

Nonostante ciò l’amante della natura e quanti vogliono conoscere veramente Spilimbergo, non possono esimersi dal percorrere, almeno in parte, la Grava, termine con il quale è definito il greto del fiume Tagliamento dagli spilimberghesi. È un sito naturalistico legato alla città che comprende un’ampia svariata superficie dove ancora si può osservare la particolare conformazione di quello che è chiamato il torrente naturale più grande d’Europa frutto del carattere discontinuo del suo fluttuare e delle frequenti diversioni delle acque condizionate dalle precipitazioni, mai uniformi, che investono il suo grande bacino imbrifero montano. È un’esperienza che vale veramente la pena fare, anche se va detto che l’avventurarsi in profondità nell’alveo per quanti non conoscono il territorio e i suoi umori, può rappresentare difficoltà di orientamento e pericoli legati alle piene improvvise.

Un percorso

Lasciata la splendida Piazza Duomo, scendiamo lungo il paleo burrone da secoli antropizzato che separa i due castelli della città. Oltrepassate le vestigia delle vecchie mura e della Torre di Fossale (o da la Grava – una delle porte che anticamente permetteva l’ingresso in città) raggiungiamo la chiesetta di Sante Sabide o dell’Ancona. Il luogo sacro è posto qualche metro sopra il limite delle grandi piene che ciclicamente scendono dalla Carnia. Nei pressi, sorge il Parco della Rimembranza, recentemente risistemato e ripiantumato a cipressi, a ricordo dei Caduti spilimberghesi della prima guerra mondiale.

Siamo alla base della sponda destra del Tagliamento che in questo punto ha una larghezza di oltre tre chilometri e sotto riva presenta alcune strutture sportive peraltro soggette alle grandi piene del fiume. Proseguiamo verso levante sorpassando il branc da l’Ancona il primo ramo, ora asciutto, del Fiume che per secoli ha fornito acqua e pescato, ai castellani. Ora ci troviamo nella prima fascia intermedia di territorio, tra due antichi meandri, che presenta terreni prevalentemente sabbio-limosi misti a ghiaie. Data la sua accertata fertilità e la miseria nera incombente, a partire dagli anni venti del secolo scorso questa porzione di terreno della larghezza media di due-trecento metri fu colonizzata dal popolo affamato. Con un durissimo lavoro di bonifica, setacciando sassi e ghiaie e spargendo continue concimazioni di stallatico fu coltivata ad orti e vigne sfamando almeno due generazioni di spilimberghesi. Di tutto ciò ora rimane poca cosa frutto del sacrificio degli anziani proprietari e la maggior parte del territorio risulta a prato, spesso incolto.

La strada bianca fiancheggiata da gelsi, susini, acacie, prugni e ciliegi selvatici, ora punta decisa verso il centro del fiume. Il fondo si fa sconnesso ed è intersecato da capezzagne che delimitano ampi appezzamenti di terreno. In alcune biforcazioni svetta un cristo di legno frutto della pietà popolare. Una volta era zona a magredo (in un punto indefinito sorgeva la chiesetta di San Girolamo poi travolta e distrutta dalle acque) con radi boschetti di vegetazione pioniera che con fatica attecchiva nelle isole tra gli acquiferi del fiume. Con l’avvento dei grossi mezzi meccanici a servizio dell’agricoltura e le concessioni demaniali, per qualche centinaio di metri di profondità tutto è stato livellato e la flora spontanea sostituita da colture agrarie (mais, soia, erba medica, orzo e grano) divise da sporadiche siepi e fossi dove con attenzione in primavera, si possono trovare asparagi selvatici, funghi o germogli di luppolo (urtiçons) ottimi per risotti o frittate. Ovunque il silenzio regna sovrano.

Camminando di buona lena si arriva dove il regime torrentizio del fiume segna in modo deciso, con il costante deflusso delle sue acque, il greto. Siamo intal salet, nel saliceto, una lunga fascia longitudinale profonda duecento metri ricoperta da un groviglio di alti cespugli di rovo, salici, pioppi, carpini, ornelli, ciliegi e pruni selvatici. È una fascia d’alveo particolare, nella quale è facile perdere l’orientamento e dove si rischia di precipitare in qualche ramo di fiume nascosto dalla vegetazione reso attivo improvvisamente da un temporale montano.

Trovato il giusto varco si incontrano lis blancis, ovvero le ghiaie frammiste a sabbia, che si stendono per una larghezza di circa ottocento metri verso la riva sinistra del fiume dove poi si ricompongono a brevi coltivi. È un luogo magico, unico, ondivago, che trova continuità a settentrione sin oltre la stretta di Pinzano così come a mezzogiorno verso la linea delle risorgive e dove il fiume esprime la sua particolarità con l’intreccio di meandri acquiferi che creano e disfano continuamente isole di sabbia e ghiaie. Un ambiente che merita essere conservato nella sua purezza.

Spazi infiniti, liberi, ciottoli colorati (un tempo utilizzati da mosaicisti e terrazzai), sabbie, arbusti, fiori e acque infide da traversare nelle quali le leggende raccontano siano in agguato lis aganis, le fate malefiche, pronte a ghermire i viandanti o a richiamare improvvise piene limacciose che esondano tutto travolgendo. Allora sono i giorni del pianto, come lo sono di gioia e di libertà infinita quando il fiume è tranquillo e a tramontana si staglia limpido l’anfiteatro dei monti ed a occidente appare alto il castello di Spilimbergo faro e baluardo posto a guardia degli antichi guadi che hanno visto il passaggio di re, papi, imperatori, eserciti, e di innumerevole povera gente.

È natura viva, integra, che ti estranea dal vivere civile e ti infonde un grande senso di pace. Un luogo straordinario con un habitat particolare dove è piacevole stendersi sulla sabbia col naso all’insù accanto allo scorrere dell’acqua che gorgoglia sui sassi, guardando muovere le nuvole nell’azzurro cielo, la calura d’estate temperata da un fresco venticello che proviene dalle montagne (O ce arie fresculine che ven ju dal Tiliment… canta una villotta friulana).

Se hai occhio nell’acqua vedi saettare (sempre più raramente) trote, cavedani, temoli. Sono luoghi dove è possibile incontrare la lepre che scatta improvvisa sotto i tuoi piedi e con falcate eleganti scompare rapidamente alla vista; dove cantano le allodole e volano merli, passeri, colombacci, cornacchie, fagiani e, alti, aleggiano i rapaci.

Al mattino o all’imbrunire puoi incontrare caprioli e cinghiali, ma ai primi calori attenti a dove posate i piedi, perché spesso attraversano il cammino colubri o i meno aggressivi ramarri e lucertole.

In periodo di transumanza centinaia di pecore si confondono con le ghiaie per poi approfittare dei teneri germogli che nascono nei campi dai quali affiora lo sclopit, la silene vulgaris ottima in cucina.

Riposato il corpo e lo spirito è il momento di rientrare in città rintracciando verso sud e seguendo i resti della “pista”, una direttrice di fuga per carri armati e carriaggi, preparata dai nazisti in ritirata nell’ultima guerra mondiale.

Un’opera imponente fatta di tubazioni e pianali in calcestruzzo armato, che traversava a raso tutto il greto del Tagliamento da una sponda all’altra. Ne rimane qua e la sparuta traccia, scardinata e distrutta in poco più di una ventina d’anni dalla forza del fiume, che qui ha un materasso ghiaioso di un centinaio di metri e al quale non si comanda, esempio lampante per quanti intendono imbrigliarlo e monito per le generazioni future.

Quasi sottoriva costeggiamo i frutteti dell’Azienda provinciale e l’Istituto Tecnico Agrario dove nel 1987, su una superficie di 1300 metri quadri, sono state messe a dimora essenze arboree e arbustive compatibili con il paesaggio del greto del Tagliamento e creato un orto botanico. Si risale la sponda del Tagliamento per la Via degli Alpini o chiudendo il cerchio sottocastello verso l’Ancona.

Testo di Bruno Sedran